giovedì 5 maggio 2011

EDITORIALE - Tra il dire e il fare del “bene comune”


In cosa si identifica l’espressione “bene comune”? La domanda parrebbe richiedere una risposta semplice, quasi ovvia e scontata: un bene, un servizio, un valore, condivisi, non soggetti cioè ad un utilizzo, ad una fruizione, che in un qualche modo possano “escludere”... 


La risposta dei fatti molto spesso non coincide affatto con l’espressione puramente verbale, che spesso sconfina nella retorica e che a volte travalica addirittura quella linea di confine che porta dritto dritto ad una sorta di imbonimento per un pubblico, siamo costretti a pensare, si presuma composto da allocchi.

Due esempi significativi li possiamo annoverare anche sul nostro territorio: in barba al concetto di bene comune si vorrebbe parificare uno degli esperimenti di condivisione di un bene pubblico come l’acqua (le Case dell’acqua”) ad un’attività commerciale, con tutte le conseguenze del caso che porterebbero alla loro chiusura; in quel di Assago, ma riguarda anche i comuni vicini e il capoluogo, si vanifica il diritto (un bene comune anch’esso) ad una mobilità certa, efficiente, sicura in virtù di un’operazione che si rivela sempre più di sapore propagandistico. E’ questo appunto il caso del prolungamento della linea metropolitana 2. 

Un caso, ci sia permesso dirlo, che abbiamo sempre denunciato in corsa solitaria all’inizio, quando da altre parti suonavano trombe giubilanti e festose grancasse e con un po’ più di compagnia oggi, quando i fatti paiono inconfutabili e fingere di non vedere è impossibile.

Insomma tra il “dire e il fare” del bene comune, c’è sempre quel “e il” dove si annida il veleno degli interessi particolari.

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