Dopo due mesi di silenzio seguiti al suo arresto Loris Cereda prende la parola. Lo fa in una lunga lettera al quotidiano “Il Giornale” che segue due linee ben precise: una di attacco e una di difesa. Va detto che, almeno a chi scrive, la fase difensiva pare sicuramente più efficace di quella d’attacco. Calcisticamente parlando ad una difesa solida fa da contrappeso un attacco che si lancia in avanti un po’ sventatamente, predisponendosi al contropiede...
Cereda parte, appunto, attaccando, come si legge con chiarezza in questo passaggio della lettera: “Il mio arresto ha provocato l’eliminazione fisica della mia amministrazione che nel 2012 sarebbe stata sottoposta al giudizio degli elettori. Da quando faccio politica ho sempre sostenuto sui giornali e nei dibattiti televisivi la pericolosità di un sistema investigativo basato sull’onnipresenza delle intercettazioni telefoniche e la pericolosità di un rapporto tra il potere giudiziario e il potere politico governato dall’ossessione antagonista che una parte della magistratura manifesta verso la politica in particolare verso il mio partito (Pdl, ndr).
Ho sempre sostenuto queste tesi apertamente e a testa alta anche quando mi si faceva notare che l’esporsi su questi temi comportava rischi consistenti: io ritengo che su questi principi si stia combattendo oggi una battaglia che va ben oltre le singole sofferenze che può pagare la mia persona, qui è in gioco il futuro del nostro Paese e la possibilità o meno che i miei figli possano vivere in un Paese libero dove la democrazia non sia assoggettata a poteri che nulla hanno a che vedere con la libera espressione della volontà popolare”. In buona sintesi il primo cittadino di Buccinasco sposa qui la tesi cara al centrodestra nazionale della congiura delle toghe (più o meno rosse, meno rosse quando assolvono Dell’Utri verrebbe da dire, più rosse quando incriminano il premier), del ruolo preponderante della magistratura e soprattutto del ruolo di una parte dello Stato che non viene mai sottoposta a giudizio popolare.
Tesi che, condivisibili o meno che siano, portano però dritti dritti sul terreno dell’opinabile e del confronto politico, operazione che oltre a non sembrare esattamente conveniente all’imputato in questione, trasferisce “i fatti” nell’empireo delle idee, con tutta la labilità e variabilità che almeno dal punto di vista giuridico questo comporta, anche se, va detto a giustificazione dell’autore della missiva, è certo più sopportabile una detenzione imputata a motivi ideali che a più brutali reati materiali.
Decisamente più motivata la difesa che Cereda mette in campo a proposito della propria posizione processuale e detentiva, questo ciò che scrive: “Dopo due mesi di carcerazione, nonostante la Costituzione (e non solo la mia coscienza) sancisca la mia innocenza, continuo a essere detenuto sotto forma di «custodia cautelare». Le motivazioni sostenute dal Pubblico ministero e sottoscritte dal Giudice per le indagini preliminari (persone che oggi sono parte della stessa organizzazione giuridica senza che la separazione delle carriere tanto attesa ne metta per lo meno in confronto dialettico le convinzioni) sono fondamentalmente tre.
Da un lato si contesta che non prendo le distanze dai miei comportamenti «delittuosi» dall’altro che potrei reiterare il reato e infine che potrei inquinare le prove. Ora, dopo che per nove mesi sono stato intercettato e pedinato, dopo che il Pubblico ministero mi ha interrogato per sei ore e dopo che per due mesi sono stato tenuto nell’impossibilità di difendermi nel mondo reale mentre i miei amici e soprattutto i miei nemici (o ex-amici) venivano passati al setaccio dagli investigatori, mi viene da chiedermi se per «inquinare le prove» si voglia forse intendere quello che dovrebbe essere il mio diritto di difendere la mia persona sia dal punto di vista giuridico che da quello politico e, ultimo ma non per importanza, umano.
Per quanto riguarda la distanza dai miei comportamenti è evidente che ritenendomi innocente non capisco da cosa dovrei prendere le distanze. Mi viene da chiedermi se «prendere le distanze dai miei comportamenti» voglia forse dire confessare reati che non ritengo di aver commesso. Ma allora vorrebbe dire che la carcerazione che mi viene imposta non è altro che un modo per «farmi confessare» con buona pace di quello che dovrebbe essere un principio cardine del nostro ordinamento per cui l’innocenza deve essere presunta fino alla dimostrazione in giudizio del contrario.
E infine, dato che non sono più sindaco, non riesco proprio a capire come potrei reiterare il reato. Mi viene da chiedermi se «reiterare il reato» non voglia forse dire continuare a comportarmi con i principi che hanno sempre governato la mia vita dove il principio di dire ciò che pensavo e di dirlo sempre a testa alta non è mai venuto meno: se così fosse mi dovrò rassegnare ad accettare l’ergastolo, perché il reato di ribellarmi a ciò che ritengo ingiusto lo intendo reiterare per tutta la vita che avrò la fortuna di vivere da uomo libero”.
Difficile davvero, se si è liberi da pregiudiziali logiche di schieramento, non individuare in queste parole argomentazioni solide in un ‘ottica di garantismo democratico che tanto per fare un esempio, è stato sempre molto ben interpretato dall’attuale candidato del centrosinistra alle elezioni milanesi: un esempio “storicamente” concreto che la contrapposizione forcaioli-garantisti è stata troppo spesso frettolosamente etichettata.
Purtroppo l'informazione parziale ha colpito ancora.
RispondiEliminaVi invio copia della lettera che ho scritto all'autore del pezzo apparso oggi 20 Settembre sul Corriere della Sera.Gentile Signor Guastella,
Alcuni giorni fa presso il Comune di Milano, alla presenza del Sindaco Pisapia, è stata presentata la carta deontologica dei giornalisti che si occupano di giudiziaria; la Carta si pone l'obiettivo di garantire un'informazione corretta ed imparziale sui casi giudiziari al fine di tutelare i diritti degli indagati (o imputati o condannati) e, soprattutto, al fine di garantire la ricerca di una verità che non sia solo quella più appetibile dal punto di vista scandalistico.
Mi appello a quella carta per fare alcune precisazioni circa l'articolo da lei pubblicato in data 20 settembre sul Corriere della Sera che analizza in modo assolutamente parziale la vicenda che mi ha coinvolto.
Partiamo dalla fine; a chi mi ha chiesto perchè fossi lì ho rilasciato una dichiarazione tutt'altro che criptica, diventa criptica perchè è da lei riportata in modo parziale, io ho detto: "Sono stato tre mesi in carcere da innocente e voglio fare di tutto affinchè quello che è successo a me non possa succedere ad altri", il che significa impegnarmi a viso aperto sul tema di una giustizia Giusta.
La mia innocenza non è un'opinione, ma, come lei sa, è, senza alcun possibile dubbio, stabilita dall' Art. 27 della Costituzione Italiana
Le ricordo poi che io sono stato arrestato e tenuto in custodia cautelare per una presunta tangente di 3.250 Euro e per l'uso (fatto apertamente e in perfetta buona fede come lei giustamente riporta) di alcune auto di lusso (la Bentley per altro è un' invenzione).
La circostanza dei 25.000 Euro (che secondo altre fonti sarebbero 20, o 22 o 24, chi lo sà) è venuta fuori successivamente dall'interrogatorio di un mio co-imputato (rilasciato subito dopo). Una circostanza così stravagante che lo stesso PM durante l'interrogatorio l'ha definita poco verosimile, infatti, a differenza di quanto lei afferma, ("avrebbe preso 25.000 euro per favorire un'impresa"), lo stesso co-imputato riferisce di avermi dato questi soldi nel Marzo del 2010, cioè 7 mesi dopo che la sua azienda ha ottenuto non un appalto (come da lei scritto) ma un sub-appalto, quindi nulla dal Comune che amministravo bensì da un'azienda terza.
Ora la mia impressione è che lei sia quasi infastidito che una persona che è stata 3 mesi in carcere abbia il coraggio di girare a testa alta e di presentarsi in un'aula di tribunale, come se la mia condanna fosse stata già scritta. Io giro a testa alta perchè sono sereno e convinto di avere sempre operato nell'interesse della comunità che amministravo e lo faccio con coraggio perchè ritengo che questo paese non possa e non debba trasformarsi in uno stato di polizia. Non le auguro di passare quello che ho passato io, mi auguro invece che lei un giorno riuscirà a capire che anche grazie al mio piccolo sacrificio i suoi e i miei figli avranno evitato di vedere svanire quella libertà per cui mio padre ha combattuto.
Grazie per il bel disegno, mi piacerebbe poter avere l'originale o, almeno, una copia in formato originale.
Con simpatia
Loris Cereda