Contro ogni previsione è Giuliano Pisapia il vincitore delle elezioni comunali milanesi, sempre importanti per le ripercussioni politiche e amministrative che hanno sui territori che circondano il capoluogo. Il candidato del centrosinistra va al ballottaggio, obiettivo che di per se stesso avrebbe rappresentato un’affermazione, e ci va in netto vantaggio su Letizia Moratti, oltre sei punti percentuali (48 contro 41,6).
Un gap difficilmente colmabile per Letizia Moratti per una lunga serie di motivi: ...
dalla tradizionale maggiore affezione al voto da parte dell’elettorato di sinistra soprattutto a fronte di mobilitazioni considerate “decisive”, alla scarsa propensione di quello leghista a votare candidati esterni al partito sempre visti con diffidenza (al primo turno questa reticenza viene superata grazie al voto sul simbolo), così come è difficile inoltre che i voti andati al terzo polo confluiscano sulla sindaca in carica, mentre è più facile che vadano ad ingrossare le file dell’astensione; al contrario Pisapia ha ancora la possibilità di pescare qualcosa nella pur modesta dotazione del Movimento 5 Stelle e perfino nel terzo polo più dichiaratamente antiberlusconiano.
Non ha pagato per Letizia Moratti una campagna spregiudicata, estranea alle questioni relative alla città, scioccamente ingiuriosa nei confronti dell’avversario che ne è emerso di fronte all’elettorato come figura ben più moderata e rassicurante degli sguaiati estremismi alla Santanchè che hanno finito con l’egemonizzare la campagna del centrodestra. Non ha pagato neppure l’aperto appoggio di Silvio Berlusconi che si è visto dimezzare le preferenze personali rispetto a cinque anni fa e il cui tasso di popolarità pare inesorabilmente in discesa. Motivi di riflessione il voto li fornisce anche al principale partito della coalizione vincente, il Partito Democratico.
Dopo aver presentato negli ultimi anni sbiadite e politicamente equivoche figure di industriali e prefetti destinati ad una sicura sconfitta e a non intercettare neppure un voto dell’area cosiddetta moderata, perdendone in compenso in gran quantità nel bacino elettorale di sinistra e dopo aver provato ancora ad imporre una figura politicamente opaca come l’architetto Boeri, il PD si deve rassegnare ancora una volta a vincere grazie al fatto che il suo candidato è stato escluso dalla corsa (come già avvenuto in Puglia, con Vendola).
Il PD vince di larga misura a Torino con un candidato che è però espressione non certo del nuovo partito ma con un cavallo di razza cresciuto e formatosi nel disciolto PCI, perde clamorosamente a Napoli, ancora una volta con un prefetto come candidato, vince a stento a Bologna, e ci mancava solo perdesse, dove però si spalancano anche le porte al primo successo di Beppe Grillo. Le scelte cosiddette moderate del PD, che dovrebbero per questo garantire la vittoria, hanno finora assicurato solo rovesci, le scelte di campo e schieramento, semplicemente chiare nei propri referenti sociali e ideali e per questo rassicuranti per l’elettorato di riferimento, si rivelano al contrario vincenti disvelando tutta la pochezza inconsistente delle artificiose contrapposizioni tra “moderatismo” ed “estremismo” (che peraltro nel corso di questa campagna elettorale si è incarnato nelle posizioni “estreme” del centrodestra, come il caso Lassini-BR-Magistrati ha messo in luce in tutta evidenza).
Concordo molto su questa analisi.
RispondiEliminaRino Pruiti
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