venerdì 3 giugno 2011

Editoriale - Perché non si può essere “il sindaco di tutti”


Quasi tutti i sindaci neo eletti hanno il vezzo (malvezzo, a mio parere, e per fortuna il neo sindaco di Milano non ci è cascato) di precipitarsi a dichiarare che saranno “il sindaco di tutti”. Si tratta di un’espressione retorica e anche un po’ vacua che non può avere alcun riscontro nella realtà dei fatti. Perché si può essere il sindaco di un’intera città, ma non di tutti... 


Non si può infatti essere il sindaco di chi chiede città più vivibili e contemporaneamente di chi aspira solo ad uno sviluppo incontrollato considerato l’alveo più adeguato per affari e profitti; non si può fare il sindaco di chi pensa che l’acqua sia un bene da mettere sul mercato e contemporaneamente di chi pensa che sia un bene pubblico; non si può fare contemporaneamente il sindaco di chi pensa che una politica di accoglienza e integrazione sia una priorità e contemporaneamente di chi pensa che l’esclusione sia una via d’uscita praticabile nel sofferto processo di crescita di una città moderna ed europea. 

In buona sostanza non si può essere il sindaco di chi ha a cuore i “beni comuni” e contemporaneamente di chi ha a cuore solo i “propri beni”, di chi ha a cuore il “bene comune” e contemporaneamente di chi vede solo il “proprio bene”. 

Non si capirebbe altrimenti perché mai andiamo alle urne per scegliere tra proposte tra loro diverse e conflittuali e ottenere alla fine un risultato che tutti dovrebbe accontentare e nessuno scontentare, in una logorante continua mediazione che restituisce ai cittadini un’idea della politica oscura e poco trasparente.

1 commento:

  1. Bravo Scova, condivido appieno.

    Penso che sia una cosa diversa dire che si fa l'amministratore pubblico, se non il Sindaco, per il "bene della cittadinanza". Poi ovvio, l'idea del bene è soggettiva.

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