Il giorno dopo l’approvazione del bilancio di previsione, sindaco e vice sindaco hanno incontrato i genitori dei bambini che frequentano o frequenteranno (forse, se non vi dovranno rinunciare a causa del rincaro delle tariffe) l’asilo nido “La Coccinella” di via Garibaldi. Un’assemblea indetta per chiarire innanzi tutto che il nido “non sarà interrotto né limitato”, come ha precisato subito Vincenzo D’Avanzo. Sarà venduto perché la struttura è obsoleta (ha 40 anni) e dislocata nei pressi di una strada a scorrimento veloce, ha spiegato il primo cittadino, aggiungendo che “la scelta della nuova struttura sarà fatta in modo partecipato, insieme ai genitori e solo quando sarà pronta, sarà venduta la vecchia”. Il numero dei bambini resterà invariato e in base alle richieste dei cittadini si sceglierà quanti posti destinare al part time e quanti al tempo normale e prolungato...
Resteranno comunque 126 bambini e il nuovo asilo sarà sempre in zona centro.
Bene. Ma chi potrà accedere al nido? “L’anno prossimo rinuncerò al lavoro perché non posso più permettermi il nido, anche se il bilancio familiare, siamo in cinque, non è cambiato”, esordisce una giovane mamma con borsa di studio da ricercatrice. “Che il nido pubblico di un Comune governato dal centro sinistra arrivi a costare più del privato, è scandaloso”, sostiene un’altra mamma.
Parole dure come pietre. Che dovrebbero far riflettere un’Amministrazione che negli anni ha promosso percorsi per favorire il tempo delle donne.
La novità emersa dal nuovo bilancio infatti è un considerevole aumento delle tariffe, almeno per chi paga la retta massima (senza essere “ricco”): “Una volgarità parlare di un aumento del 40%”, ha precisato Lilia Di Giuseppe, riferendosi ai volantini diffusi nei giorni scorsi dal Pdl.
Di fatto però un aumento c’è, anche se va precisato che l’obiettivo è favorire le famiglie più bisognose ed effettuare una perequazione delle differenze. Le tariffe, infatti, sono state rimodulate in base al reddito e nessuno potrà accedere al nido senza pagare una quota minima: “Criteri che riteniamo di giustizia sociale”, ha spiegato l’assessora che ha sottolineato come per alcune fasce ci sia addirittura una diminuzione.
E il sindaco ha specificato che “il rincaro è solo dello 0,3% a fronte di un incremento dell’inflazione del 2%”.
Eppure qualcosa non torna. Chi l’anno scorso pagava circa 520 euro al mese (quota fissa da 408 più 5,50 per il pasto giornaliero), da settembre dovrà sostenere una spesa di 680 euro.
“Per le famiglie non c’è alcun aiuto”, mi confessa sconsolata un’altra mamma all’uscita. E che ne sarà dei 70 bambini rimasti fuori dalla graduatoria? Altre donne che dovranno rinunciare al lavoro.
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