martedì 9 novembre 2010

Scenario - Il filo rosso della "vita terribile" che unisce Marchionne e Berlusconi

“Insonne”: a Palazzo Venezia le luci, di notte, non si spegnevano mai perché il Duce lavorava sempre. La mitologia del sacrificio sovrumano, il prometeismo dei leader massimi è una connotazione sistematica nella storia dei regimi politici, un clichet propagandistico mai abbandonato.  
Il dato un po’ inquietante di questi nostri tempi confusi è che, immemori di questa lezione della storia, i leader di oggi ripropongono i vecchi schemi. A convergere su questa reiteratività sono stati, nell’ultimo mese, i due leader “più maximi” e tra loro più distanti che annoveri oggi l’Italia: Sergio Marchionne e Silvio Berlusconi...

  
Il primo, capo assoluto del gruppo Fiat - con un cumulo di deleghe dirette superiore a quelle che abbia mai avuto Cesare Romiti - accusato da un sindacalista della Fiom-Cgil di guadagnare troppo, anziché ignorare la critica, come pure sarebbe stato lecito, o rispondere in qualsiasi altro modo, non ha saputo dire altro che: “Io faccio una vita terribile!”, alludendo al grande carico di lavoro che indubbiamente, nel suo ruolo, è chiamato a sostenere.  
In queste poche parole è contenuto un tale errore di comunicazione da far temere un simmetrico errore di concetto. Innanzitutto: è chiaro che i superstipendi dei top-manager come Marchionne derivano da leggi di mercato (o meglio: consuetudini) che non misurano la quantità dell’impegno degli interessati, ma la qualità e la responsabilità delle scelte a loro rimesse.  
Quindi quell’allusione alla “vita terribile”, cioè alla fatica connessa al ruolo è, come dire, tecnicamente imprecisa. E comunque un uomo di mercato, com’è Marchionne, avrebbe pur potuto replicare che un attore o un calciatore guadagnano molte volte più di lui avendo infinitamente meno responsabilità!   
E invece no: è venuta fuori, nuda e cruda, l’autorappresentazione dell’ego che l’uomo Marchionne dà di sé a se stesso, quella di un eroe indomito pur sotto una montagna di incombenze, di un campione della fatica oblativa verso il mondo, di un santo laico protagonista di una misconosciuta funzione salvifica a vantaggio della collettività. Inutile richiamare quella vecchia, saggia massima sul management in base alla quale “il bravo manager è colui che lavora per rendersi dispensabile” (il contrario di “indispensabile”): chi si pone al centro del mondo, chi si erge a motore del sistema, perno della grande ruota, fa una vita terribile e va idolatrato per questo.  

Idem con patate per Berlusconi, il quale - nella surreale pretesa di non smentire, né  ridimensionare o almeno dissimulare il suo stile di vita sessuale, diciamo così, “consumistico”, ma anzi di rivendicare il diritto a condurlo senza contestazioni né pettegolezzi, ha tracciato un quadro della sua giornata davvero eroico: “Faccio una vita terribile, disumana; ogni giorno lavoro fino alle due e mezza di notte, mi sveglio alle sette e mezza e riprendo, e così tutti i giorni, compresi i sabati e le domeniche. Se qualche volta per pulire il cervello voglio avere una cena con gli amici...”. E via così.

Ovviamente nessuno gli contesta né il diritto al riposo, né  il diritto allo svago. Detrattori storici, detrattori recenti e ormai anche tanti sostenitori sconcertati ritengono invece inevitabile entrare nel merito del modo in cui Berlusconi si riposa e si svaga, viste le implicazioni potenzialmente rischiose di questo modo per il ruolo istituzionale che riveste. E viste anche le pesanti implicazioni valoriali ed etiche - due parole che peraltro restano tabù per la sinistra, anche la più oltranzista nelle critiche al premier - che questo modo presenta. 
 

Ma niente da fare: “Mi sacrifico per voi, merito quel che voglio”. Sia esso un superstipendio o una escort diversa ogni sera. Come se qualcuno avesse chiesto o imposto agli interessati di farli, questi sacrifici. Come se la capacità di fare sacrifici, o comunque di lavorare, impegnarsi, profondere energie e impegno nel proprio compito professionale non sia, in fondo e insieme, in parte un dono e in parte una libera scelta... Non per banalizzare, ma i proverbi popolari definiscono verità che non vanno irrise a cuor leggero. E come dice il proverbio più appropriato a casi del genere: “Hai voluto la bicicletta? Adesso, pedala!”.  
Attenzione a chi si atteggia a superuomo. La storia insegna che prima o poi finisce male. E spesso fa fare una brutta fine anche a molti di quelli che coinvolge.

Sergio Luciano

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Sergio Luciano è stato redattore capo dell’economia a La Stampa, della finanza a Il Sole 24 Ore e delle pagine economiche de La Repubblica.

fonte: ilsussidiario.net

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