Con il 45% delle preferenze ,contro il 40 del suo rivale Stefano Boeri, Giuliano Pisapia ha vinto, a sorpresa ma non troppo, le primarie del centrosinistra che dovevano indicare il candidato destinato a contrastare Letizia Moratti alle prossime elezioni comunali di Milano, mentre all’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida è andato il 13% e poco più dell’1 all’ambientalista Michele Sacerdoti. Un vero schiaffo, termine che è stato usato dalla stampa in grande misura, per il PD e il suo gruppo dirigente in primo luogo, che aveva fortemente appoggiato la candidatura dell’urbanista Boeri, catapultatosi sulla scena politica dopo una lunga carriera professionale...
Si tratta dell’ennesima sconfitta del Partito Democratico in elezioni primarie “vere”, cioè con reali candidati alternativi e non con candidati unici imposti dall’apparato del partito. Fu così in Puglia con la candidatura Vendola, fu così anche se in termini diversi dal caso pugliese, con la candidatura dell’attuale sindaco di Firenze Matteo Renzi ed è stato in un certo senso così, se vogliamo citare un evento molto più “locale, con la candidatura di Maria Ferrucci a Corsico, non certo appoggiata da gran parte del partito e soprattutto dagli amministratori allora uscenti.
Sta di fatto che ogniqualvolta i gruppi dirigenti del PD vanno a confrontare le loro scelte con la volontà di iscritti ed elettori, il risultato si rivela una sonora bocciatura. Bocciatura non priva di conseguenze pesanti a Milano: Maurizio Martina, segretario regionale lombardo, Roberto Cornelli, segretario metropolitano milanese, e Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd in consiglio comunale a Palazzo Marino hanno infatti rimesso il mandato per favorire una discussione che possa tracciare le linee per il futuro che, auspicabilmente per le sorti del PD, dovrebbe essere senza di loro.
L’architetto Boeri era stato scelto, alle solite, per la sua presunta capacità di attirare un voto trasversale, moderato e centrista mentre Giuliano Pisapia era stato individuato come candidato più vicino alle posizioni della sinistra cosiddetta antagonista e a quelle di Nichi Vendola. Calcolo del tutto sbagliato se si tiene conto della storia politica del vincitore: eletto a suo tempo come indipendente nelle liste di Rifondazione comunista ma da più parti, anche a lui lontane, apprezzato per competenza, senso della misura, chiarezza politica.
Noto anche per il suo garantismo del tutto estraneo alle “grida” giustizialiste dipietriste o travagliesche che siano. "Se qualcuno – ha dichiarato l’elettoralmente plurisconfitto di suo, Filippo Penati - vuole tradurre il risultato delle primarie in una lotta per l'egemonia all'interno del centrosinistra, cercando di farlo apparire come un voto contro il Pd, non solo dice una cosa falsa ma oltretutto indebolisce la possibilità di una vittoria contro Letizia Moratti perché senza il Pd non si va da nessuna parte". L’elettorato probabilmente non ha però inteso con questo voto votare contro il PD ma ha piuttosto pensato che anche con le scelte del gruppo dirigente del PD milanese sia assai difficile andare molto lontano, confortato in questa valutazione dalla storia degli ultimi anni.
Comincia comunque ora una seconda impegnativa fase per il vincitore delle primarie, cui il candidato sconfitto Boeri ha garantito leale collaborazione: quella che lo porterà alla sfida decisiva con Letizia Moratti. Nota dolente della giornata la scarsa affluenza alle urne, 67 mila votanti contro i 100 mila previsti, fatto a cui possono essere date molte spiegazioni tecniche ma per il quale si può anche ipotizzare una spiegazione politica: la scarsa pubblicità data all’evento, soprattutto nelle zone periferiche della città, come se si puntasse soprattutto al voto di militanti e attivisti, un voto di apparato che avrebbe garantito la vittoria a chi aveva appunto la forza dell’apparato PD alle spalle, un appoggio che non solo non è bastato ma che probabilmente si è rivelato addirittura un handicap.
E qual'è la notizia? Dove sta la sorpresa?
RispondiEliminaVedete cosa ha subito detto Penati?
Le dimissioni di chi ha preso atto - ancora una volta - di essere mille anni luce lontano dal sentimento vero dei propri elettori è una cosa positiva, onorevole e storica. Bravi.
Gentile Scova,
RispondiEliminami complimento per la Sua analisi. Sono più o meno le stesse cose che ho detto (e scritto io).
Ora speriamo che anche Penati pensi che sia giunto il momento di rimettere il mandato e che siano individuati dei responsabili per questa cocente sconfitta, senza che il solito colpo di spugna riporti tutto allo stato originale.
E' anche il caso di rendere onore alla sinistra, che si è ricreata un'immagine di governo e che sta accantonando "l'antagonismo". Questo può essere importante per il Paese.
Ora l'importante è che si corra tutti uniti per sostenere Pisapia e mettere fine agli scempi della Moratti, impreparata a gestire le cose più piccole (una stupidata, ricordate la questione "sale da neve"?) e inadatta ad affrontare i temi più importanti. Expo parla per tutti.
Paradossi italiani. Il partito che con più convinzione persegue il metodo delle primarie è anche quello che le perde regolarmente. Il che è la massima espressione di masochismo, dato che la consultazione viene rivolta innanzitutto ai propri iscritti e secondariamente agli ‘elettori d’area’. È quello che succede al Pd. Che ormai diventa il partito dei Perdenti Designati. Non è facile trovare altrove una tale serie di scivoloni collezionati nelle consultazioni per la designazione dei candidati a una carica pubblica. Il caso milanese è l’ultimo di una serie che fra gli esempi più clamorosi comprende Firenze (dove Renzi è diventato candidato del partito ex post) e la Puglia (dove Vendola ha strapazzato il concorrente dalemiano).
RispondiEliminaSono molte le cause. La debolezza dei candidati, e l’incapacità di sostenerli, certo. Ma forse anche la perdita di quell’identità da Partito degli Amministratori Locali che per decenni è stata caratteristica dell’ex Pci. Sentir dire a Bersani che la partecipazione del Pd siciliano alla giunta guidata da Raffaele Lombardo è soltanto ‘una questione locale’, sulla quale i vertici romani non intervengono, fa capire come il ‘partito liquido’ diventi sempre più una struttura in franchising. Incapace di controllare e guidare dal centro i processi che avvengono nelle periferie. Le quali sono ormai il primo fronte d’uno sfaldamento di cui l’afasia del partito nazionale è un riflesso, non certo una causa. Sicché, si continua a designare candidati perdenti per le primarie. Mentre la destra berlusconiana crolla nel marciume, e un’altra destra appena ripulita si prepara a dare la scalata ai vertici della Terza Repubblica. Perdere contro i cadaveri e i loro becchini: che fine ingloriosa.