venerdì 19 novembre 2010

Consigli di lettura - Ma il vero riformista stavolta è Pisapia

Non che noi si voglia rivendicare il copyright dell’aggettivo “riformista” (anche se quando lo sdoganammo, otto anni, non eravamo in gran compagnia). Però ci arroghiamo almeno il diritto di contestare la lettura un po’ troppo superficiale da molti data ai risultati delle primarie di Milano: l’area riformista ha perso, l’effetto Vendola ha vinto. E per una ragione molto semplice: tra i contendenti di Milano, il riformista era Giuliano Pisapia, e non a caso due mesi fa il nostro giornale gli dichiarò il suo endorsement... 
 
Se si considera infatti il cuore della polemica a sinistra - l’antiberlusconismo e il suo uso della giustizia - Pisapia è certamente il candidato più vicino alle posizioni riformiste: da sempre consapevole che nessun pm può risolvere il problema politico del berlusconismo; e da sempre, conseguentemente, aperto a riforme che evitino un ulteriore imbarbarimento del rapporto tra giustizia e cittadini (vedi intercettazioni) giusto per fare un dispetto all’avversario politico. 
 
Queste sono posizioni che contano, soprattutto a Milano, cioè nella città dove il cosiddetto partito dei giudici è nato. Contano molto di più di ciò che Pisapia pensa sulla questione sociale, che dovrebbero qualificarlo come esponente della sinistra radicale. 
 
Contano di più in primo luogo perché Pisapia è stato scelto per fare il sindaco, non il premier (ecco un’ importante differenza con Vendola, cui impropriamente Pisapia viene accomunato); e in secondo luogo perché il radicalismo sociale di Pisapia finora non è arrivato molto oltre un generico sostegno alle posizioni del cardinale Tettamanzi. Roba che perfino un blairiano può tranquillamente digerire. 
Il Pd non deve dunque preoccuparsi della vittoria di Pisapia, e nemmeno di un presunto effetto Vendola (il vero guaio delle primarie nazionali non sarebbe se le vince Vendola, ma il fatto che il solo farle rende impossibile un’alleanza con Casini e Fini). Ciò di cui deve davvero preoccuparsi il Pd è la deriva ideale che l’ha portato a scegliersi come candidato Stefano Boeri, e a ritenere che questa fosse una scelta riformista. Proporre una archi-star come sindaco è solo l’ennesimo cedimento alle sirene della borghesia riflessiva, di quel ceto medio colto e benestante che disprezza il berlusconismo per ragioni sociali ed estetiche, prima ancora che politiche; di quell’opposizione etica alla destra che nelle urne, e soprattutto al nord, si è sempre mostrata ampiamente minoritaria. Da anni la sinistra milanese si nasconde dietro la società civile, quasi per farsi dimenticare, come se si vergognasse del suo essere sinistra, pur avendo la sinistra, nella versione riformista di rito meneghino, una splendida e nobile storia. Che sorpresa è se poi gli elettori del Pd disertano le urne? Avrebbero dovuto entusiasmarsi per l’architetto Boeri? E che sorpresa è se poi scelgono un uomo di sinistra come Pisapia, con una storia di impegno e di passione politica, e non solo di tecnocratico successo nelle professioni? 
 
Lasciate stare dunque la parola «riformista». Nel pasticcio di Milano non c’entra nulla. La sconfitta del candidato del Pd milanese è sì la sconfitta del Pd, e non solo milanese. Ma è la conseguenza inevitabile di una lunga storia in cui i riformisti hanno svenduto la loro storia a un azionismo di ritorno tanto velleitario quanto snob.

di Antonio Polito

Da il Riformista del 16 novembre 2010

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