In prigione è più difficile, perché ogni giorno ci sono decisioni definitive da prendere: sui tuoi compagni, sulla tua famiglia, sul sesso, sulla droga, sulla vita, sulla morte. Spesso sulla morte, dal momento che ogni tre giorni qualcuno si suicida.
Le voci che di quando in quando escono dal mondo dei reclusi raccontano cose così: “Mentre alcuni mangiano, altri cacano. Molti sono costipati perché si vergognano. Altri hanno la diarrea per l’alcol che bevono” (l’alcol si ottiene facendo pasticci con frutta e pane); oppure: “Per paura di prendersi qualche infezione alcuni non fanno nemmeno la doccia. Altri invece ci vanno volentieri: c’è sempre qualcuno che si prostituisce per uno spinello”; e: “Le celle sono un disastro. I secchi dei rifiuti non hanno nemmeno i coperchi e le pareti sono ricoperte di muffa”...
In Francia (sì, è dei nostri cugini che si sta parlando) ci sono sessantunomila detenuti, circa ottomila in più della capienza regolare: Sarkozy ha definito le “sue” prigioni “la vergogna della repubblica”. E in Italia? Sessantasettemila detenuti, capienza quarantacinquemila. Come ogni estate sono cominciate anche le proteste.
Ieri il presidente Napolitano, mostrandosi più eufemistico del collega transalpino ha commentato: “È ormai ineludibile l’attuazione di interventi normativi e organizzativi per il superamento delle molte criticità ormai manifeste”. L’altro ieri si era registrato il suicidio numero 32 da inizio anno e lo “sventato suicidio” (esiste anche questa contabilità) numero 51.
Dagli anni Sessanta i suicidi sono aumentati del 300%. Il motivo viene spiegato con la composizione della popolazione carceraria che annovera soprattutto immigrati, tossici, malati mentali, categorie una volta inesistenti a vantaggio del delinquente abituale e abituato alla galera.
Infatti quei pochi coraggiosi che praticano l’opera di misericordia del “visitare i carcerati” non trovano ladri d’appartamento (anche perché non li beccano quasi mai) ma “sex offenders” e spacciatori. Naturalmente il nostro come l’altrui governo ha “un piano” per risolvere “una volta per tutte” il problema-carcere.
In Francia le condizioni materiali in cui versano i prigionieri sono anche peggiori delle nostre, ma il problema del sovraffollamento è di molto inferiore e il sistema della “comparution immediate”, tanto discusso e discutibile, ha il merito di accorciare drasticamente certi processi ed evitare la custodia preliminare.
Nel nostro caso si punta alla costruzione di nuove prigioni, ma non è difficile immaginare che finiranno come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e a un decreto tanto studiato quanto ostacolato (dalla Lega) per far trascorrere agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena (a seconda della tipologia del reato, si calcolano circa undicimila uscite dalle prigioni).
Nulla invece sul fronte più decisivo e cioè delle sanzioni, della lunghezza dei processi, delle perversioni del carcere preventivo. Ciò aprirebbe il tema forte “dei delitti e delle pene”, cioè una azione di riforma vera, per la quale ci vorrebbe almeno un pizzico dell’ossessione esibita da tutte le parti sulla vicenda intercettazioni, oltre che una idea di giustizia che come i criminali di una volta non si vede più, soprattutto dalle parti della magistratura.
Nell’attesa delle soluzioni radicali, sempre a portata di dichiarazione alla stampa e mai a portata di mano, in Italia come in Francia guardie e detenuti cercano di farsi sentire: gli uni ammazzandosi e le altre impedendo di farlo.
fonte: ilsussidiario.net
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