10 aprile 2010. Militari afghani e della coalizione internazionale attaccano il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah in Afghanistan, portando via componenti dello staff nazionale e internazionale. Tra questi i tre operatori italiani Matteo Dell'Aira (infermiere coordinatore medico), Marco Garatti (chirurgo d’urgenza) e Matteo Pagani (tecnico di logistica).
Le notizie si rincorrono. “Gli italiani hanno confessato” (di un presunto piano per uccidere il governatore della Provincia di Helmand), “sono coinvolti nel caso Mastrogiacomo”, “l’indagine sarà rigorosa”.
Intanto in Italia le reazioni sono le più diverse, dalla “prudenza” del Governo alla fermezza di Gino Strada nel difendere i suoi volontari fino all’enorme solidarietà di tanti cittadini e volontari di Emergency...
E da casa, increduli, molti a guardare tv e leggere giornali, ripensare alla guerra in Afghanistan, immagini ormai sempre più veloci e sbiadite a cui siamo assuefatti. Ogni giorno notizie di attacchi e bombardamenti che neanche ascoltiamo più. Mentre ogni giorno chi lavora negli ospedali di guerra di Emergency non ha nemmeno il tempo di fermarsi e chiedersi cosa stia succedendo perché è troppo impegnato a curare ferite, salvare vite, di tutti, di ogni parte. Lo sappiamo, lo ascoltiamo frettolosamente, ci puliamo la coscienza ogni tanto acquistando una maglietta o un altro gadget ad un mercatino, poi volgiamo lo sguardo altrove.
Impossibile voltarsi dall’altra parte dopo aver incontrato di persona – e averne ascoltato la testimonianza – Matteo Dell’Aira. Proprio lui, uno degli operatori arrestati e poi rilasciati ad aprile, è stato ospite di una serata organizzata giovedì 10 giugno al Bem Viver di Corsico dai volontari di Emergency dei gruppi Naviglio Grande, Busto Arsizio, Magenta, Saronno, Varese, S. Vittore Olona, San Giuliano (e c’era perfino qualcuno dal Canton Ticino).
E proprio lui attende che le condizioni di sicurezza nel Paese tornino ad essere tali da permettergli di tornare a fare il suo lavoro. In quello stesso ospedale da cui è stato prelevato. In quello stesso Paese che l’ha arrestato, messo in isolamento, costretto a vivere tra topi, scarafaggi, pidocchi, luce artificiale e condizioni igieniche pessime. Eppure solo lì, solo con Emergency, Matteo Dell’Aira desidera lavorare, con i suoi obiettivi, l’umanità, lo spirito di servizio della medicina, una medicina “guidata dall’etica e non da soldi”.
L’ospedale attualmente è chiuso, c’è chi lo presidia e si spera di poterlo riaprire a luglio. Intanto i feriti sono stati trasferiti altrove (dove dovranno pagare spese mediche che non posso permettersi) e lo staff aspetta il ritorno degli italiani (Foto di Fabio Basso Vedovato - Quaderni Visivi).
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