sabato 13 marzo 2010

Esperienze - Un padre che rinasce nel figlio


Capita... E quando accade non c'è cronaca locale, problema internazionale o magagna territoriale che tenga. Capita che qualcosa, qualcuno smuova fortemente il proprio animo. Commuova, riempia di gioia, lasci risalire l'angoscia che dentro rode lenta e silente. Un'esperienza a tutto tondo che non può rimanere rinchiusa. Deve essere raccontata.
I fatti, anzi, la cronaca, in sé, è di una semplicità imbarazzante: un concerto. Ma ciò che si cela dietro di esso è tutto fuorché imbarazzante. Lunedì 8 marzo, Teatro Smeraldo di Milano, concerto di Cristiano De Andrè. Titolo della tournè: De Andrè canta De Andrè. Il figlio che canta il padre. Dura, penso. Per lui, per me, per il pubblico abituato ad ascoltare Fabrizio sui vinili consumati o i cd ricchi della “pastosità” di una digitalizzazione solo posteriore.

Sono cresciuto nel mito del padre. Da chitarrista in erba fin da giovane a strimpellare “il Pescatore” e altro, solo in una fase più matura ad apprezzare la poesia dei testi del padre. Ho sempre apprezzato le doti di “strumentista” del figlio, anche se come cantautore mi è sempre sembrato incompleto, acerbo, non ancora (e vorrei vedere) all'altezza del padre. Poi scopro che la vita di Cristiano è tormentata, scomparso dalle scene per qualche anno a causa di qualche guaio giudiziario di poco conto e lo vedo in qualche occasione in tv: perso, sfatto e mi chiedo cosa possa essergli successo...

Poi capisco. Da un anno e poco più di sicuro capisco... Ed è lui stesso nella chiacchierata tra una canzone e l'altra a dire “da 10 anni è scomparso mio padre ed è stata dura affrontare questo dolore. Ma poi, lentamente, si cerca di andare avanti. Spero che questo mio concerto possa dare speranza a chi come me ha subito un perdita del genere”.

Il concerto prosegue, le note scorrono con una mestria già nota e le parole, le melodie sono Quelle (alcune leggermente ri-arrangiate, ma senza snaturare l'originale). La voce, calda e profonda col passare degli anni è sempre più simile a quella del padre. A tal punto che a tratti, chiudendo gli occhi, si potrebbe gridare al miracolo di una “resurrezione”. Ma in fondo tale è e in tutti sensi. Un figlio che cerca di superare il dolore, un padre riportato in vita dalla memoria del figlio, le note di capolavori scritte trent'anni fa' che rinascono e splendono oggi più di allora.
Il pubblico (incredibile quanto sia eterogeneo, dai ragazzini a chi di sicuro ha avuto l'onore di ascoltare il padre) applaude, canticchia ma quasi solo sussurrando per non perdere la musicalità e l'incanto degli strumenti che si rincorrono sul palco. E solo alla fine si lascia contagiare dell'energia di alcuni pezzi e si alza a cantare a squarciagola nel bis.

Una lacrimuccia è scesa, a lui, quando racconta di sé e del padre. Ed è scesa anche a me. Inevitabile, credo. Per la bellezza del momento, per l'emozione provata da figlio verso il padre...

Bookmark and Share

Nessun commento:

Posta un commento