Le hanno tentate tutte e ancora tenacemente continuano a lottare per salvare il proprio lavoro, il loro know how, la loro dignità. I lavoratori della Maflow hanno nuovamente manifestato davanti al Pirellone e si sono fatti sentire, insieme ad altri colleghi metalmeccanici. Altri lavoratori di aziende in crisi, come come la Jabil di Cassina de Pecchi e la Novaceta di Magenta. Ieri mattina hanno organizzato un presidio insieme ai sindacati per chiedere al Consiglio regionale di interessarsi maggiormente al problema del lavoro...
Una delegazione è stata ricevuta dal presidente del Consiglio regionale Davide Boni, ottenendo che nella seduta del 25 ottobre il Consiglio discuta un ordine del giorno proprio sulla situazione produttiva in Lombardia, come ha riferito la Cub. La seduta riguarderà i tavoli di crisi aperti relativi alle aree automotive (di cui fa parte Maflow), tra hightech, aviospazio, chimica e telecomunicazioni.
Fuori dal palazzo, secondo quanto riferito dalla Cub, erano circa in 500 e alcuni hanno tentato di impedire l'accesso all'edificio ai consiglieri, prendendo particolarmente di mira Renzo Bossi che ha dovuto accedere al grattacielo da un ingresso secondario, tra urla, insulti e lanci di uova che però hanno colpito solo dipendenti della Regione e la facciata del grattacielo. Il presidio ha poi messo in allarme gli addetti alla sicurezza della Regione Lombardia che, per timore di possibili irruzioni, è arrivata a chiudere per alcuni minuti tutti gli ingressi e un cordone di carabinieri in tenuta antisommossa si è posizionato davanti all'entrata della sede del consiglio regionale.
La Fiom intanto ha anche annunciato uno sciopero regionale di 8 ore per il 4 novembre, con lo scopo di sollecitare interventi a sostegno dello sviluppo e delle imprese da parte della Regione, visto che il ricorso agli ammortizzatori sociali è una misura temporanea e tra poco finirà.
E lo sanno bene i lavoratori della Maflow, per 200 di loro la cassa integrazione scade a febbraio del prossimo anno e le speranze di un rinnovo sono poche. Pochissime anche le speranze di un ritorno alla produzione: nonostante gli accordi di agosto 2010 la nuova proprietà non è intenzionata ad assumere le trenta persone che avrebbe dovuto inserire già lo scorso giugno, ma soltanto (forse) quindici nell’arco di quattro mesi.
E intanto parrebbe intenzionata a chiedere la cassa integrazione per alcuni dipendenti. Proprio per questo la scorsa settimana sindacati ed Rsu hanno rotto le trattative e indetto un’assemblea straordinaria in cui hanno comunicato l’intenzione di ricorrere a vie legali.
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