mercoledì 16 maggio 2012

DIBATTITO - “Difendo il finanziamento pubblico ai partiti, è in gioco l’indipendenza della democrazia”


Riceviamo e pubblichiamo - E' compito assai arduo, il giorno d'oggi, scrivere un articolo di sostegno al finanziamento pubblico ai partiti. Me ne rendo conto e ne conosco i rischi - tra cui annovero l'accusa di poca obbiettività legata alla diretta militanza - ma credo sia quanto mai necessario spendersi per salvare almeno il principio.

Non si vuole infatti negare che esistano delle inaccettabili distorsioni nel sistema dei partiti italiani, con l'aberrazione massima nel riconoscere, in virtù del referendum abrogativo del 1993, un rimborso elettorale che serve a coprire le spese di funzionamento di tutto l’apparato (fino ad arrivare agli "arditi" investimenti di taluni). E tantomeno si vuole sottacere il fatto che le cifre impiegate siano mostruose e decisamente lontane dall'essere giustificabili...

Personalmente, credo che in un’ipotesi di riforma dei partiti si dovrebbe puntare a definire una serie di norme che inquadrino la loro attività (regolarità dei congressi, norme per la scelta dei candidati, meccanismi di partecipazione alle decisioni) e, soprattutto, ci si dovrebbe richiamare a un “francescanesimo” della bulimica politica italiana, attraverso una drastica riduzione dei denari oggi erogati e, perché no, introducendo dei rigidi tetti di spesa. Lo si può fare, ad esempio, con organizzazioni più snelle, con meno personale e che non abbiano la possibilità di accantonare patrimoni immobiliari e finanziari consistenti: perché, ad esempio, i partiti dovrebbero poter acquistare Titoli di Stato come previsto dalla recente “proposta ABC”? Venendo alle campagne elettorali, oltre ad più sobrie, è forse giunto il tempo di smettere di tappezzare ogni angolo delle città con faccioni giganti. Per non parlare degli insulsi (ma costosissimi) réclame in TV.

Resto convinto però che il finanziamento dei partiti debba essere pubblico.

La posta in gioco è molto alta: sullo sfondo c'è la necessità di garantire l’indipendenza della democrazia. "Per un democratico - come ricorda giustamente Nadia Urbinati - le differenze economiche sono accettabili fintanto sia possibile impedire che trasmigrino nella sfera politica." Attraverso istituzioni, procedure e norme bisogna bloccare il travaso di influenza economica in influenza politica. 

I partiti in quest'ottica ideale sono degli strumenti in mano ai cittadini per far valere il proprio diritto di essere rappresentati. Indipendentemente dalla forza politica che meglio ne rappresenta il pensiero, siamo tutti chiamati in causa, anche per i vincoli di responsabilità che l'avere diritto al voto comporta. Dopo la remota esperienza della democrazia diretta ateniese, che riguardava solo poche centinaia di cittadini, nell’epoca delle rivoluzioni liberali si è affermato il modello della democrazia rappresentativa e con essa si sono fatti strada i partiti. 

Un gruppo economico, per quanto rilevante, non è un soggetto politico (tant'è che non ha diritto di voto). Quindi dal punto di vista squisitamente logico, ammetto che ho sempre fatto fatica ad accettare che delle grandi aziende possano finanziare l'attività di singoli partiti (se non di tutti appassionatamente) o di candidati.

Ultimamente si evoca il modello americano che per le elezioni presidenziali non prevede contributi pubblici ad eccezione del remoto caso in cui i contendenti decidano di fare a meno di sovvenzioni private. Si dice che uno dei punti di forza di questo sistema, data l’estrema trasparenza, sia il consentire all’elettore di poter scegliere il suo rappresentante in seno alle istituzioni anche in virtù dei profili dei suoi finanziatori.

Molti e titolati autori argomentano che questa concezione sarebbe poco compatibile con i modelli politici del Vecchio Continente (si pensi che in Europa solo Malta, Andorra, Svizzera, Bielorussia e Ucraina non prevedono contributi statali). Personalmente preferisco ricorrere a uno dei tanti esempi che a mio parere bene illustra perché il sistema inciampi.

Nel libro “Caldo, Piatto e Affollato” il giornalista Thomas Friedman ricorda che sebbene negli anni ’70 gli USA, su impulso dei presidenti Ford e Carter, avessero introdotto una legislazione molto rigida in tema di efficienza nel consumo di carburanti da parte delle autovetture e dei camion (si passò da 5.7 a 11.6 km/l e da 4.9 a 8.2 km/l rispettivamente), con l’avvento di Ronald Reagan, per anni, queste politiche subirono una cocente battuta d’arresto. Gli Stati Uniti si ritrovarono così fanalino di coda tra le grandi potenze mondiali per quanto riguarda l’efficienza energetica dei mezzi di trasporto e tornarono a dipendere pesantemente dalle importazioni estere di greggio. Questa scelta decisamente non lungimirante fu possibile non solo grazie ai repubblicani, finanziati dalle grandi società petrolifere, ma anche grazie al silenzio dei democratici, che avevano invece alle spalle i contributi dei grandi marchi automobilistici, con in cima la General Motors. A che sarebbe servito per un elettore ambientalista conoscere la lista dei finanziatori dei candidati dei due partiti? Peccato che aria, foreste e ghiacciai non possano finanziare nessuno…

Episodi come questo hanno costellato la recente storia americana (si pensi al sistema sanitario descritto da Sicko di Michael Moore). E’ lecito chiedersi che differenza passi tra questi e la corruzione. In tali casi, simili contribuzioni non assomigliano pesantemente a tangenti pagate in anticipo? Beh, certo, così però è salva la trasparenza. Allegria.

Simone Negri - capogruppo Partito Democratico Consiglio comunale di Cesano Boscone


“Paghiamoli molto meno, resteranno solo quelli buoni”

Caro Simone,

il mio problema è proprio l'opposto del tuo. Di questi tempi potrei gridare quattro slogan a caso contro il finanziamento pubblico ai partiti (o rimborso, che dir si voglia, poco cambia) e avrei sicuramente un'ottima compagnia di “urlatori” al mio fianco pronti a darmi ragione a priori. Troppo facile e poco costruttivo, a mio avviso. Non mi diletterò nell'arte oratoria che poco mi appartiene ma cercherò di sintetizzarti “di pancia” perchè io dico “no”.

Dico molto fermamente “no” perchè il problema lo vedo alla fonte, da quando (non lo so di preciso, ma poco importa) fare politica si è trasformato per la maggior parte della cosiddetta classe dirigente in un lavoro ben remunerato, un cerchio magico che produce benessere (per sé stessi). Un lavoro redditizio per chi riesce ad arrivare “in alto” e, una volta arrivato alla poltrona, ci resta attaccato con ogni forza, perdendo il senso della realtà che (non più) lo circonda: la realtà di un Italia che va a rotoli e che non arriva più neanche al “20 del mese”, con la rabbia dei sacrifici chiesti solo per chi come noi è in basso, quando in alto la benzina potrebbe arrivare a 100 € al litro e non sarebbe comunque un problema (tanto c'è l'auto blu)...

Sia chiaro (in caso avessi frainteso), non è un attacco a chi come te la politica la fa dalle fondamenta. Il problema è quanto si sia ormai incancrenito il marcio a soli 2 o 3 gradini appena sopra a dove sei tu ora. E non parlo solo di Roma, basta salire molto meno.

Dunque dico “no”, o meglio, dico stop a questa politica (quindi capisci perchè non posso che rigettare i finanziamenti). Dico resettiamo tutti insieme il “sistema operativo” e ripartiamo dal basso. La mia speranza, che vuole essere anche un augurio a te e a tanti altri giovani politici, è che dal basso e internamente si cominci a diffidare almeno un pochino dell'alto e si ritorni alla vera politica: quella che mi hanno raccontato o di cui ho letto, quella in cui l'entusiasmo partiva dalla coesione che scaturiva, oltre che dagli ideali, dal cercare due soldi per portare avanti insieme il circolo di zona. Quella dove il finanziamento arrivava dalla vendita della torta della nonna, quella dove oggi, diversamente da “quei tempi”, comunicare a distanza e con le persone è molto più semplice grazie alla rete e risulterebbe dunque più facile fare grandi cose con poche risorse.

E una volta arrivati in alto? Beh, è questa la vera sfida. Restare attaccati al basso.
Le “battute” disponibili (per il cartaceo) sono ultimate, se vuoi proseguiremo sul blog...


Andrea Demarchi

Ps. una frecciatina qualunquista concedimela: diamo ai parlamentari di domani 3.000 euro netti al mese, nessun privilegio, nessun doppio incarico, nessun soldo come rimborso se non quello frutto della propria raccolta derivata del consenso tra la gente. Tutto trasparente, tutto nero su bianco, tetto massimo per campagna elettorale. Quanti di quelli di oggi resterebbero? La mia risposta non è nessuno. E' pochi, ma i buoni.

5 commenti:

  1. Due osservazioni per due riflessioni contrapposte.
    Comprendo lo stato d’animo e le motivazioni di Andrea Demarchi. La sua fotografia purtroppo è decisamente reale. Ho dei dubbi sulla ricetta del cambiamento.
    Giubilare il volontariato dal basso per tutte le complesse funzioni dei partiti, con questi cittadini/elettori che ci ritroviamo, mi sembrano per ora difficile da realizzare.
    E’ un percorso certamente da intraprendere, ma incominciamo da subito cambiare le regole, con questi politici, con queste contraddizioni. Stiamo rischiando la disgregazione della democrazia e la Politica deve dare ora delle risposte.
    L’esempio che descrive Simone sul sistema Americano ha evidentemente dei limiti. Ma non dare la possibilità ai privati di finanziare i Partiti mi sembra eccessivo. Si possono inserire delle correzioni, per esempio un tetto del contributo, e ovviamente la pubblicazione del versamento, ed altro ancora.
    Il condizionamento delle piccole o grandi lobby, possono esser giudicate, controllate e azzerate dalla partecipazione e dal controllo degli iscritti ed elettori dei Partiti. Quindi si ritorna al nodo centrale. Il funzionamento e la democrazia nei Partiti. Credo sia urgente e finalmente matura la decisione di votare una legge sui Partiti, un testo che disciplini tutte le materie inerenti al loro funzionamento e che si ispirino nelle loro strutture interne a sistemi e metodi di libertà Non sono delle Associazioni, svolgono delle funzioni pubbliche rappresentative e come tali devono avere per legge diritti e doveri.

    Roberto Silvestrini

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  2. Perché invece di finanziare i Partiti non si finanzia la Comunicazione Politica? Sono stato tra i promotori del referendum contro il finanziamento ai partiti, ma nessuno di noi ha mai pensato ad una partecipazione politica proporzionale alle disponibilità economiche e di comunicazione personali. Avere per tutti i partecipanti alle competizioni elettorali, cioè per chi ha raccolto regolarmente le firme dei cittadini a sostegno delle liste, pari opportunità di comunicazione è la questione dirimente. Spazi radiotelevisivi, fuori da quelli contingentati dalla lottizzazione delle redazioni e dei canali, spazi pubblici di incontro, quantità minima di materiale cartaceo per la distribuzione e per l'affissione, ecc. Questo significherebbe il rispetto del dettato costituzionale nonché la chiara volontà espressa dai cittadini e aggirata semanticamente chiamando il finanziamento "rimborso". Qui le uniche lobby in gioco sono gli apparati di funzionari, amministratori, nominati, che compongono i partiti odierni. Cordate di portatori di interessi particolari, fuori da ogni regola pubblica e da ogni trasparenza, che coprono le loro rendite di posizione chiamando "antipolitica" tutto ciò che le mette in discussione. Cordate di interessi particolari che si servono delle risorse normative, di indirizzo, finanziarie ed economiche, proprie delle istituzioni, invece di amministrarle per servire le istituzioni stesse. Una zavorra per la libera partecipazione informata dei cittadini alla vita pubblica maldestramente coperta dalle definizioni di Destra e di Sinistra. E' chiaro che non si tratta solo della degenerazione carrieristica della partecipazione politica, occorrono regole democratiche e trasparenza, ma sopratutto occorrono la partecipazione informata dei cittadini, la democrazia continua, quindi la Cittadinanza Attiva e la Sussidiarietà nella gestione dei Beni Comuni. Parlo dell'acqua, della produzione distribuita di energia da fonti rinnovabili, come il fotovoltaico, di Internet con piattaforme per la partecipazione informata ai processi deliberativi e alla gestione di quote di sovranità, che riguardino servizi e interventi locali. Questo insieme di garanzie minime e di condivisione di responsabilità può produrre un'opinione pubblica avvertita, quindi migliori politici per una migliore politica. I finanziamenti privati interessati propri del sistema americano, dichiarati, trasparenti e con regole vere per il conflitto di interessi, come negli States, a queste condizioni non costituirebbero un problema per l'intelligenza sociale diffusa.

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    1. A mio parere, la mia civiltà
      è la civiltà
      NON della Comunicazione,
      ma dell'Iscrizione/Registrazione.

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  3. Nel mio articolo volevo difendere il principio del finanziamento pubblico, in maniera volutamente slegata dalla (brutta) realtà odierna.

    Se rimaniamo sui principi, però, faccio fatica a capire perchè dei gruppi economici debbano foraggiare la politica. Non è affar loro.

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  4. Concordo, ma lo fanno. Delle due: o è illegale in ogni sua forma, quindi anche alle fondazioni dei vari politici, o è trasparente e chiaro così si sa chi c'è dietro alle proposte dette/non dette dei candidati e dei loro partiti.

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