venerdì 22 giugno 2012

Ma è giusto bocciare in prima elementare?

Un ritorno a tempi ormai dimenticati? L’applicazione dei regolamenti senza il cuore e la sensibilità che dovrebbero essere requisiti fondamentali per svolgere il ruolo di insegnanti di scuola primaria, oltre alla preparazione?
Hanno fatto molto discutere nelle ultime settimane i tanti casi di bocciature di studenti in prima elementare. Il caso che ha fatto più scalpore è quello di Pontremoli (Firenze) dove nella stessa scuola sono stati fermati al loro primo scoglio scolastico ben cinque bambini: i loro insegnanti hanno affermato di aver agito per il bene dell’alunno, ma i genitori sono insorti. Per ora però la decisione sembra confermata: il ministero dell’Istruzione aveva invitato la scuola a ripetere gli scrutini e il consiglio di classe ha confermato le cinque sentenze...

Il caso di Pontremoli non è isolato. E le comunità si dividono, così come lo stesso mondo della scuola: abbiamo chiesto un parere a Marina Morandotti, assessora all’Istruzione al Comune di Cesano e insegnante della scuola primaria Monaca in via Vespucci. A lei a settembre toccherà una prima numerosa.

“I bambini sono come il percorso di vita, ciò che le loro abilità, l’educazione familiare li ha portati ad essere. Compito della scuola è proprio quello di promuoverli cioè ‘muoverli in avanti’, per aiutarli a crescere”, ha evidenziato l’assessora, contraria a bocciature così premature: “Non possiamo pretendere che questo sviluppo dei bambini sia omogeneo, ogni alunno ha i propri tempi nell'apprendimento e nella crescita”.

Se una scuola sceglie di privilegiare l’aspetto formativo nel suo complesso, come tanti istituti dichiarano di fare, non dovrebbe quindi trasmettere solo nozioni e valutare in base al profitto. Almeno non in prima elementare, quando i bambini sono ancora cuccioli con maturazioni molto differenti.

“La bocciatura è una sconfitta, un fallimento, prima di tutto della scuola e degli insegnanti”, sostiene Morandotti, “ancora più grave se perpetrata su bambini così piccoli, al loro primo incontro con l’impegno, il lavoro e il rendimento scolastico”.

Un modello di scuola rigida, basato solo sui risultati ottenuti, per l’insegnante e assessora cesanese, penalizza i bambini svantaggiati che proprio grazie alla scuola avrebbero la possibilità di recuperare. E invece tende ad escludere chi non tiene il passo al ritmo degli altri: “È inaccettabile che i più deboli vengano umiliati da un’esclusione che lascerà certamente ferite profonde nell’autostima di tali bambini”.

Al di là dei singoli casi, per i bambini bocciati non sarebbe stato meglio che la scuola si facesse carico delle difficoltà dei piccoli, preparando un progetto di recupero con azioni mirate? “Certo, la bocciatura non può essere l’unica strategia applicata per rinforzare gli apprendimenti”.

Maria Ficara

2 commenti:

  1. E quando il bambino, pur affiancato dal sostegno, mostra difficoltà tali da aver bisogno di più tempo per assimilare i concetti base (proprio quella della prima elementare), che si fa? Per buonismo lo si promuove destinandolo a scaldare il banco per i successivi quattro anni o gli si dà l'occasione di avere più tempo per consolidare le basi?
    La bocciatura non è l'unica strategia per rinforzare gli apprendimenti, ma l'estrema ratio e la decisione viene presa nell'interesse del bambino! Visto che è insegnate dovrebbe saperlo.

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  2. Gentile signora Ficara,
    il taglio dato all'articolo mi lascia un po' perplessa perché mi sembra semplicistico. Si discute di una vicenda che in realtà non si conosce, perché non sappiamo che tipo di difficoltà hanno incontrato i bambini in questione,se e quali strategie di recupero sono state adottate durante l'anno scolastico,non conosciamo la loro età; ci sono genitori che iscrivono alla scuola primaria bambini che non hanno ancora compiuto i 6 anni, i cosiddetti anticipi, e poi questi bambini incontrano enormi difficoltà perché non hanno ancora sviluppato i prerequisiti per la frequenza scolastica.
    È chiaro che in astratto nessun bambino dovrebbe essere fermato, è evidente che la scuola deve cercare di rimuovere tutte le difficoltà che impediscono il successo formativo, siamo d'accordo sull'importanza di individualizzare i percorsi d'insegnamento-apprendimento, ma se, nonostante tutto questo, gli insegnanti si rendono conto, per una serie di motivazioni che devono essere molto circostanziate, che far ripetere il percorso a quel bambino gli porterebbe solo benefici, perché stigmatizzare a priori questa scelta? 
    Sono certa che i docenti, che sono o dovrebbero essere professionisti dell'istruzione, avranno ben ponderato questa decisione, non l'avranno certamente assunta con superficialità, proprio perché consapevoli dell'impatto psicologico sui bambini e sulle loro famiglie. 
    In 32 anni di insegnamento ho fermato solo due alunni, ma Le assicuro che non me ne sono mai pentita, anche perché  i genitori, che all'inizio avevano subito la nostra scelta,  qualche anno dopo ci hanno ringraziato.

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