venerdì 22 giugno 2012

Da Milano niente cittadinanza per il Dalai Lama. Da Assago le chiavi della città

Rinviata a data da destinarsi, ma comunque dopo il 2015 e l’EXPO, la cittadinanza onoraria per il Dalai Lama, una delle guide spirituali dei buddisti le cui peregrinazioni per il mondo portano regolarmente parole di pace e tensioni diplomatiche tra il Paese che lo ospita e la Repubblica Popolare Cinese (cinque anni fa problemi analoghi li dovette affrontare anche Letizia Moratti). Il sindaco Pisapia ha rilevato di non aver ricevuto pressioni dal ministero degli Esteri o dall’Ambasciata cinese, ma che nel corso di un incontro con il console cinese a Milano il diplomatico avrebbe riferito al sindaco che “la cittadinanza al Dalai Lama sarebbe stata interpretata come un segnale di inimicizia verso il popolo cinese”... 

Il che tradotto in linguaggio comune significava una possibile diserzione cinese dall’EXPO e più in generale un appesantimento dei rapporti economici italo cinesi. Hanno quindi giustamente pesato di più la crisi e la tanto conclamata ma poco praticata necessità di crescita e sviluppo, rispetto alle celestiali conferenze dell’onorevole ospite esule dal Tibet. Pisapia incontrerà comunque il Dalai Lama che potrebbe anche intervenire nell’aula del Consiglio comunale. Una soluzione equilibrata, a detta dello stesso sindaco, che non accetta diktat ma nemmeno vuole compromettere i rapporti con una realtà importante come la Repubblica cinese. 

Differente l’atteggiamento del sindaco di Assago, Graziano Musella, che invece si dice pronto a consegnare all’illustre ospite le chiavi della città: "Saremo noi a consegnare le chiavi della nostra città alla massima autorità religiosa buddista. È un gesto necessario per dare un segnale forte: i principi di condivisione umana, uguaglianza e pace sono più forti di qualsiasi questione economica e politica". Difficile quindi attendersi in futuro importanti investimenti cinesi in quel di Assago che pure con Milanofiori ospita importanti realtà economiche.

Intanto i giornalisti investigativi del tedesco Sueddeutsche Zeitung hanno scoperto che la Cia attraverso il Dalai Lama ha sostenuto la lotta armata del Tibet contro la Cina. Il Dalai Lama ha sempre saputo fin dall’inizio che i servizi segreti americani appoggiavano la lotta armata tibetana contro l’occupazione cinese e approvò nonostante fosse il simbolo mondiale della non violenza. I contatti avvennero all’epoca tramite l’ambasciata USA di Nuova Delhi e il consolato di Calcutta. Il Pentagono si impegnò ad addestrare guerriglieri, fornire armi e finanziamenti. Le rivelazioni del prestigioso quotidiano di Monaco non sono certo dispiaciute alla diplomazia cinese e hanno certo contribuito a favorire le relazioni economiche cino-tedesche.

Fulvio Scova 


Ma com’era il Tibet governato dal Dalai Lama?
E’ convinzione comune e abilmente costruita che fino al 1959, anno dell’invasione cinese, il Tibet fosse un regno dove la vita di tutti trascorreva serena, libera e spiritualmente gioiosa. La realtà è ben diversa. Come ben diversi erano i monaci buddisti al potere rispetto a quelli che vediamo sorriderci amabilmente durante i loro giri di conferenze. Prima del 1959, le terre e gli abitanti del Tibet altro non erano se non i feudi delle istituzioni del governo, dei monasteri e dei nobili tibetani locali, vale a dire delle tre principali categorie di proprietari che sostenevano il servaggio feudale tibetano. 

Queste tre principali categorie di proprietari, che costituivano meno del 5 per cento della popolazione totale del Tibet, possedevano la quasi totalità delle terre arabili, delle praterie, delle foreste, delle montagne, dei corsi d’acqua e del bestiame. Essi erano non solo autorizzati a sfruttare i servi, ma esercitavano un vero e proprio dominio sulle loro persone. I servi e gli schiavi, che rappresentavano il 95% della popolazione del Tibet, non disponevano di alcun diritto fondamentale dell’uomo e erano privi di ogni libertà. Fin dalla nascita, i servi appartenevano a un proprietario. La loro esistenza, la loro morte e il loro matrimonio erano nella assoluta disponibilità del loro padrone. 

I servi potevano essere venduti, acquistati, trasferiti, offerti come dote, regalati ad altri proprietari di servi, utilizzati per liquidare un debito o scambiati con altri servi. Nel 1792, a tutti i monasteri del Tibet fu imposta la particolare corrente dottrinale del Dalai Lama, chiamata Gelug. La preghiera che innalzavano ogni mattina suonava più o meno così: “Ti preghiamo, dio violento, di ridurre in polvere tutti coloro – monaci o gente comune – che sporcano o corrompono la dottrina Gelug”.

I monaci vivevano in povertà, come i monaci del medioevo; il Dalai Lama, invece, e la sua corte, vivevano nel Potala Palace, una costruzione di 1000 stanze. L’idea che c’era in Occidente era che la gente lavorasse volontariamente per i monaci, per osservare le leggi del karma: in realtà, la casta sacerdotale disponeva di un vero e proprio esercito per garantire i propri privilegi. Solo dopo l’invasione cinese il Dalai Lama ha scoperto i concetti di democrazia e diritti umani fino ad allora, sotto il suo governo, del tutto sconosciuti in Tibet.

f.s.

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