Enrico De Nicola, il primo presidente della Repubblica Italiana, si presentava alle cerimonie ufficiali con un cappotto rivoltato, arrivò a Montecitorio con la sua auto e senza alcuna scorta, non volle percepire alcuno stipendio, pagava da sé telefonate e francobolli...
Gli successe Luigi Einaudi, che durante un pranzo al Quirinale dividendo in due una mela chiese ai commensali chi desiderasse l’altra metà. Paiono episodi e ricordi di un altro mondo, e lo era, come lo era la classe politica del tempo.
Non tutta ovviamente era esente da malefatte e da episodi di corruzione, ma questi non erano i tratti dominanti di una classe dirigente che sapeva anche esprimere i sentimenti, le ambizioni, gli interessi di una larga parte della collettività. Dopo la sbornia retorica sulle virtù della società civile e di fronte a quanto si racconta in questi giorni, viene davvero da chiedersi se la sua irruzione in politica abbia davvero giovato al Paese oppure vi abbia portato solo meschini interessi particolari, piccole e altrettanto meschine ambizioni, desideri provinciali di status sociale, difese corporative (basti pensare alla reazione degli avvocati parlamentari di fronte alla prospettiva di abolizione del loro ruolo professionale).
C’è davvero da chiedersi se il degrado del mondo politico nazionale sia figlio della politica di professione come una volta si intendeva o di una categoria così spesso “beatificata” come la società civile che nulla ha aggiunto in termini di efficienza e competenza professionale, anzi, ma in compenso ha molto sottratto.
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