Se è vero come è vero, che l’autorevolezza di una classe dirigente sta nella sua credibilità, ci aspettano sonni agitati e ricchi di incubi. Scrive sul Sussidiario il giornalista Merisio Melloni: “tu non puoi guardare a uno come Marchionne e prenderlo sul serio. Se almeno una volta nella vita hai giocato a poker, o quantomeno hai visto le dirette su Sky un paio di sere, non puoi prendere per buono uno così. Marchionne bluffa. È fin troppo evidente...
Lo ha sempre fatto, forse lo faceva già da piccolo, di certo lo sa fare benissimo. Non lo fa in America, dove di poker la sanno lunga, ma lo fa benissimo in Italia, dove tra fenomeni di briscola e Scalaquaranta c’è solo da scegliere”. Se il “caso Marchionne” investe l’intera Italia, non mancano episodi di scarsa credibilità anche sul nostro territorio.
A partire dalla Maflow dove una grande casa automobilistica tedesca, dimentica a quanto pare del rigore teutonico, disattende un accordo firmato da meno di un anno. Insomma non mantiene la parola, insomma con loro non si può comprare un bue e siglare l’accordo con una stretta di mano. Per arrivare ad Autogrill che licenzia e riassume e usa ore straordinarie nella totale indifferenza verso le sorti dei licenziati (licenziate soprattutto, al solito) e dei nuovi assunti (che se non son creduloni sanno di essere comunque dei licenziandi.
Dopo la categoria travagliesca “dei non ancora indagati” calza a pennello la definizione di “non ancora licenziati” per l’insieme dei lavoratori italiani. Quando una classe dirigente non è più credibile, la classe diretta semplicemente non crede più.
Sta qui probabilmente uno dei nodi più acuti della crisi, la rottura di un “patto sociale” dove uno dei contraenti già meditava di barare mentre stringeva la mano all’altro.
Fulvio Scova
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