“I resti di quello che è stato il più grande tentativo di snaturare un partito di sinistra risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, fosse stato in vena di metafore storiche, Pier Luigi Bersani avrebbe potuto prendere in prestito le frasi di Diaz e del suo Bollettino della Vittoria. Oppure avrebbe potuto ricordare a Renzi che quando Mao Tse Tung diede l’ordine di aprire il fuco sul quartier generale del suo stesso partito, lo fece avendo alle spalle una linea politica ben precisa e milioni di sostenitori che all’interno di quel partito e di quella linea si muovevano, senza andare a prendere in prestito elementi della cultura avversaria...
Ma Bersani è troppo bersaniano per infierire sull’avversario, si accontenta di avere vinto alla grande, si preoccupa del possibile futuro di governo che gli sta di fronte e anche di recuperare l’unità del partito che le primarie hanno incrinato, anche se meno di quel che appare (il quadro militante ha dato infatti una prova rilevante di compattezza di fronte alle infiltrazioni, non tanto elettorali, quanto culturali e politiche).
Il 60% e oltre che costringe Renzi a stare sotto la soglia psicologica e quanto mai simbolica del 40%, è una vittoria non data per scontata nei giorni precedenti il ballottaggio e non casualmente il segretario PD aveva ricordato che i ballottaggi si vincono anche 51 a 49, tanto per cautelarsi in caso di affermazione risicata. Renzi paga il prezzo di una campagna che non è mai riuscita ad andare davvero oltre il richiamo generico ad una volontà di rinnovamento delle classi dirigenti del partito, forse dimenticando troppo superficialmente che quelle classi dirigenti, che non hanno solo sempre perso le loro battaglie, erano espressione del grande collettivo di due partiti (PCI e DC) che è comunque storicamente radicato nel territorio e figlio di una selezione politica ben più severa di quanto il giovane sindaco fiorentino non abbia supposto.
Ogni volta poi che è andato sul concreto le sue proposte sapevano troppo di “presa in prestito” da altre culture estranee a tutte le componenti del PD, non solo a quella di provenienza comunista. Insomma se Bersani, per dirla con Vendola, “profumava” di sinistra, dalle parti di Renzi c’era troppo “profumo di destra” e troppa ostentata voglia di chiamare a sé supporti esterni che da quel profumo, e solo da quello, erano richiamati. Troppo liberismo e troppo mercatismo, soprattutto in questa fase storica e sociale del Paese, hanno tenuto lontano chi comunque da certi valori si sente ancora estraneo, soprattutto ora che questi valori mostrano la corda sfilacciata della crisi.
Renzi ha accettato la sconfitta con un discorso nobile, probabilmente sincero, un po’ strappalacrime, assolutamente trasversale, non politicamente trasversale ma trasversale in assoluto. Le stesse parole le avrebbe potuto pronunciare l’allenatore che ha perso la sfida con la squadra favorita del campionato, lo scienziato a capo di uno staff che ha cercato di mettere in dubbio la teoria della relatività di Einstein e non ci è riuscito, perfino Napoleone dopo Waterloo se non fosse stato troppo sicuro di sé per fare ammenda pubblicamente. Insomma a Firenze mancava solo Rocky che gridava “Adrianaaaa” e la commozione per lo sconfitto avrebbe raggiunto il diapason.
Si aprono ora nuovi possibili scenari politici, in primo luogo il possibile ritorno di Berlusconi che si sente galvanizzato da uno scontro che a suo dire rimette all’ordine del giorno il vecchio armamentario sulla sinistra che resta comunista, non cambia mai e va arginata. Bersani dal canto suo pare più preoccupato da Mario Monti che dal centrodestra nazionale che continua a baloccarsi con l’idea di organizzare le primarie in una decina di giorni, e questo spiega il suo tour internazionale teso ad accreditarsi presso le cancellerie che attualmente sono fedeli e infatuate del premier in carica.
Sul fronte della Grande Città il voto non si è molto discostato dalla tendenza nazionale (Bersani al 68% a Corsico e al 60% a Cesano Boscone) , va comunque sottolineato il controsorpasso di Bersani a Buccinasco (si passa dal 42 a 38 per Renzi al primo turno al 54 a 45 per Bersani al ballottaggio) a riprova che certi appoggi esterni sono volatili e assai poco affidabili, strumentali in poche parole.
Fulvio Scova
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